(di seguito il testo di un articolo a firma Stefano Boldrini apparso in “Dossier Condominio” MAGGIO-GIUGNO n. 165 di ANACI)
In condominio l’istituto della delega consente ai condòmini, impossibilitati a partecipare all’assemblea, di nominare un rappresentante di fiducia cui demandare il loro diritto di voto. Le regole per poter esercitare questa importante facoltà di espressione per procura sono poche ed ormai assodate, ma dietro ad un semplice pezzo di carta possono nascondersi insidie del tutto inaspettate. Nella novellata riforma, la L. 220/2012 entrata in vigore il 18 giugno 2013, il primo comma dell’art. 67 dacc dedica poche righe all’argomento, peraltro generiche, che possono dar luogo ad interpretazioni estensive su cui è bene fare qualche riflessione.
“Ogni condomino può intervenire all’assemblea anche a mezzo di rappresentante, munito di delega scritta. Se i condomini sono più di venti, il delegato non può rappresentare più di un quinto dei condomini e del valore proporzionale”
L’unico requisito che la norma dispone in modo chiaro ed inequivocabile è la forma scritta, ma nella realtà è necessario che la delega contenga altri elementi essenziali, senza i quali sarebbe impossibile validarla: innanzitutto un chiaro riferimento di chi sia il condòmino delegante, con il calce la propria firma in originale, ma anche l’indicazione del nome e cognome del delegato, sia esso condòmino o terzo. Un ultimo elemento imprescindibile è il riferimento all’assemblea cui la delega si riferisce, con la precisazione perlomeno della data di svolgimento, sia di prima che di seconda convocazione. Soltanto una delega compilata in modo siffatto contiene le informazioni basilari che consentono al Presidente di accettarla, attribuendo al delegato intervenuto in assemblea il diritto di voto in vece del condòmino delegante.
La questione però non è del tutto risolta, perché il delegato potrebbe essere sconosciuto ai partecipanti all’assemblea, ponendo quindi la necessità di verificarne le generalità. Può il Presidente chiedere al delegato l’esibizione di un documento? E se non ne avesse alcuno? Lo scenario si complica e non poco, perché impedire l’espressione del voto all’avente diritto può comportare, ex art. 1137 cc, l’annullabilità di qualsiasi delibera assembleare assunta, con evidenti ripercussioni negative sul condominio stesso. Ebbene l’esibizione di un documento di riconoscimento è del tutto facoltativa e non può essere imposta, tanto che il Presidente, in caso di rifiuto, potrebbe effettivamente impedire l’espressione del voto al delegato, avendo l’accortezza di indicare nel verbale una breve descrizione delle motivazioni che lo hanno portato a prendere questa decisione, a futura memoria. Del resto il riconoscimento del delegato è indispensabile perché una delega non può essere oggetto di ulteriore delega, lo dispone in modo del tutto analogico lo stesso art. 67 dacc.
Un altro scenario interessante si apre con il seguente quesito: il condòmino delegante, proprietario di più unità immobiliari nello stesso condominio, può delegare più rappresentanti, fino a nominarne uno per ogni singola unità immobiliare posseduta? E’ lo stesso art. 67 dacc a fornire la risposta a questa domanda del tutto inappropriata. Il condòmino in questione conta come “uno” e se desidera delegare qualcuno a rappresentarlo in assemblea non può scindere le sue proprietà, perché altrimenti aumenterebbe a proprio vantaggio il numero delle “teste” ovvero uno dei quorum deliberativi che devono essere raggiunti per approvare una delibera.
La seconda parte del primo comma dell’art. 67 dacc introduce un ulteriore elemento di analisi che merita particolare attenzione. Leggendo quanto in esso riportato si desume che il legislatore abbia voluto limitare, per quanto possibile, l’eccessivo potere di rappresentanza in assemblea; dispone infatti che in presenza di oltre venti condòmini (non unità immobiliari) il delegato non possa rappresentare più di un quinto dei condòmini e del valore proporzionale. Vale la pena ricordare che la norma in esame, per effetto di quanto disposto dall’art. 72 dacc, è inderogabile e che pertanto neanche un regolamento di condominio può disporre diversamente, salvo che non “restringa” ulteriormente il numero delle deleghe, richiamando di fatto i condòmini ad una maggiore responsabilità e partecipazione alla vita condominiale. Tuttavia l’aspetto più dibattuto e interessante su cui riflettere è il significato della congiunzione “e” che parrebbe accomunare il raggiungimento delle due soglie citate, ovvero il numero di condòmini e il valore dei millesimi. La norma pone un limite al numero di deleghe che oltrepassi contemporaneamente entrambi i valori, oppure anche al raggiungimento di uno solo dei due? Se cerchiamo altri esempi che possano chiarire le intenzioni del legislatore, il comma 2 dell’art. 1136 cc ce ne offre uno del tutto analogo: “sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti “e” almeno la metà del valore dell’edificio. Ne consegue che il limite è posto al raggiungimento contemporaneo di entrambi i valori citati. D’altronde non potrebbe essere altrimenti. Se un condòmino di un edificio con oltre venti condòmini possedesse più di 200 millesimi non potrebbe mai delegare nessuno a rappresentarlo in assemblea, il che rappresenterebbe una seria limitazione all’espressione di voto in assemblea.