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Vita da disabili

Andrea sorride e mi consegna il biglietto con il numero di prenotazione, osservandomi da dietro le lenti leggermente oscurate dei suoi Rayban. Da quando sono amministratore di condominio l’ho sempre visto lì al suo posto, seduto su un trespolo all’interno dell’Ufficio Postale di Via Petrocelli, in un piccolo centro commerciale come ce ne sono tanti altri a Roma. Aiuta gli utenti indecisi dispensando consigli, sorrisi e biglietti con il numero stampato in nero. Ormai lo vedo spesso, ma tutte le volte mi stupisco nel rilevare che l’espressione del suo viso, la gentilezza nei modi, la disponibilità e la pazienza, sono sempre gli stessi, immutabili nel tempo. Al suo fianco, appoggiata alla spalliera, c’è la sua inseparabile stampella. Ogni tanto gli lancia un’occhiata furtiva, come per sincerarsi che sia ancora al suo posto; un’indispensabile e fedele compagna di vita di cui non può più fare a meno. Ma ci sono stati tempi in cui Andrea non sapeva neanche cosa farsene di una stampella, perché la disabilità lo accompagna da non più di vent’anni, dal giorno in cui fu coinvolto in un grave incidente, qualcosa che può accadere a chiunque. E’ stato quando gli ho consegnato un mio biglietto da visita che mi ha raccontato la sua difficoltà a relazionarsi con la città, ma soprattutto mi ha fatto capire quanto la sua condizione, ma soprattutto la condizione di coloro che sono meno fortunati di lui, sia diventata completa indifferenza per chi la disabilità non la vive quotidianamente: scalinate insormontabili; marciapiedi sprovvisti di scivolo; bagni angusti dove a volte è difficile entrare anche per una persona pienamente abile; locali commerciali del tutto inaccessibili per chi è costretto su una sedia a rotelle. Inutile dire che Andrea ha ragione da vendere. Il mondo “civile” tende a dimenticare che esistono anche persone come lui, che hanno il diritto come tutti di usufruire dei servizi di una città come Roma o di una qualunque altra località del mondo. Il nostro incontro mi ha fatto riflettere molto, e la sua conoscenza della materia, oltre all’impegno profuso per ottenere dalle istituzioni una maggiore attenzione a tutela dei disabili, mi ha spinto ad informarmi e a studiare la normativa.

La Legge n. 13 del 9 gennaio 1989, contenente le “disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati”, rappresenta il primo passo verso una riconciliazione tra il mondo dei disabili e quello degli “altri”, ma nel leggere attentamente gli articoli si nota subito che qualcosa non quadra. All’articolo 1 comma 4 è specificato che un professionista abilitato deve allegare al progetto di ristrutturazione o di nuova costruzione di un edificio pubblico o privato, una dichiarazione di conformità alle disposizioni riportate nella legge stessa. Si parla di precisi obblighi in tema di accessibilità, visitabilità o adattabilità delle strutture edificate, pubbliche o private, non rispettando i quali il progetto non può essere approvato. E’ addirittura prevista la creazione di un’apposita commissione comunale, composta da tecnici esperti in grado di valutare se le soluzioni architettoniche presentate possano o meno consentire ad un disabile di usufruire di un agevole percorso di ingresso e di una comoda fruizione degli spazi interni. A giudicare da buona parte degli edifici che ci circondano, pubblici e privati, pare che l’intento della legge sia stato del tutto disatteso e che nel silenzio degli interessati (i disabili), o a seguito delle loro “timide” proteste, nulla si muova.

Come previsto dalla Legge n. 13, il 14 giugno 1989 viene alla luce il D.M. n. 236 contenente “le prescrizioni tecniche necessarie per garantire l’accessibilità, la visitabilità e l’adattabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica al fine del superamento e dell’eliminazione delle barriere architettoniche”. Gli articoli sono costituiti da una sequenza interminabile di indicazioni tecniche molto ben circostanziate che, inutile dirlo, nella maggior parte dei casi non vengono applicate, con il risultato che per i disabili le difficoltà aumentano. La normativa impone anche la presentazione di un’autocertificazione postuma con cui il Direttore dei Lavori (e cioè un professionista abilitato come il geometra, l’architetto o l’ingegnere) dichiara sotto la propria responsabilità che l’edificio è stato costruito/ristrutturato rispettando la normativa in tema di abbattimento delle barriere architettoniche. Giova ricordare che oggi, secondo quanto disposto dall’art. 76 del DPR n. 445 del 28/12/2000, qualsiasi dichiarazione mendace in atti amministrativi comporta ripercussioni penali e risvolti civilistici ed economici di notevole entità. Ebbene, dal 1989 quanti edifici sono stati costruiti? Parliamo di quasi trent’anni di edilizia civile, non di bruscolini. E’ possibile affermare che qualsiasi fabbricato edificato in questo lungo lasso di tempo rispetti pienamente la normativa vigente? Nulla di più falso.

Il D.M. 236 è richiamato anche dal D.P.R. (Decreto del Presidente della Repubblica!) n. 503 del 24 luglio 1996 “recante le norme per l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici, spazi e servizi pubblici”. Basta addentrarsi nella lettura degli articoli per accorgersi che buona parte delle disposizioni contenute sono di nuovo completamente inapplicate; ma se questo può non essere un problema per le persone normodotate, certamente è una grave limitazione alla libertà di movimento dei disabili più gravi. Orbene, se anche le istituzioni pongono ostacoli insormontabili al diritto di muoversi di un disabile, disattendendo i necessari controlli e le conseguenti sanzioni, certamente la direzione che si è presa non è quella corretta ed è necessario alzare la voce.

Anche la nuova riforma del condominio negli edifici, la L. 220/2012 entrata in vigore il 18 giugno 2013, non sfugge al “buonismo” di facciata del legislatore, tanto che l’art. 1120cc, in tema di innovazioni, dispone quorum “agevolati” per le delibere assembleari che abbiano per oggetto l’eliminazione delle barriere architettoniche. Si parla di quorum agevolati, ovvero quelli del secondo comma dell’art. 1136cc, perché precedentemente alla riforma le maggioranze deliberative erano addirittura maggiori (quinto comma dell’art. 1136cc), ma il legislatore avrebbe dovuto abbassarle ulteriormente, equiparandole alle delibere di natura ordinaria, ovvero approvate in seconda convocazione con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti in assemblea e un terzo dei millesimi dell’edificio. La legge non prevede neppure l’assegnazione obbligatoria di posti auto riservati ai disabili gravi all’interno delle aree condominiali, lasciando all’assemblea il compito di decidere nel merito, con risultati piuttosto scontati.

E’ vero che ci troviamo ancora in un periodo di profonda crisi economica che vede innalzarsi pericolosamente la percentuale di morosità tra i condòmini, ma se a questo sommiamo il “menefreghismo collettivo” di coloro che non sono toccati direttamente dal problema della disabilità, ecco che l’approvazione di una spesa per l’installazione di un ascensore, un servoscala o semplicemente di uno scivolo, diventano un ulteriore ostacolo alle belle parole che sottintendono alla frase: “abbattimento delle barriere architettoniche”. Al disabile che si vede respingere dall’assemblea la proposta di agevolare la sua mobilità all’interno del condominio non rimane che mettere mano al portafoglio e provvedere autonomamente, in virtù dell’art. 1102cc che gli consente di modificare le parti comuni salvo che non si crei un grave pregiudizio agli altri condòmini … ma al grave pregiudizio dei disabili chi ci pensa?

Noi amministratori nel nostro piccolo possiamo fare ben poco per migliorare una situazione gravemente deficitaria, ma certamente possiamo sensibilizzare la categoria, la nostra amata ANACI, e ove possibile le istituzioni, affinché in occasione dei lavori di ristrutturazione degli edifici amministrati si tenga ben presente che esiste una minoranza di persone che necessita di essere considerata e che con piccoli ma indispensabili interventi potrebbero essere aiutati a sentirsi parte integrante di una comunità civile.

In attesa che si presti finalmente un po’ più di attenzione alle istanze delle minoranze deboli della nostra società facendo semplicemente rispettare la legge, Andrea continuerà a dispensare sorrisi e ad aiutare la gente, la stessa che in assemblea probabilmente non lo ricambierebbe con la stessa moneta.

Riparazione tetto o lastrico solare … chi paga?

La ripartizione delle spese per il rifacimento del lastrico solare o del tetto di un edificio condominiale è spesso oggetto di accese discussioni tra i condòmini. A chi spettano le spese?

L’art. 1117 cc indica che il tetto è una parte comune se non risulta il contrario dal titolo (Regolamento di Condominio o rogito). Ciò significa che tutti devono partecipare alla spesa per un eventuale rifacimento. Il tetto è fondamentale per preservare l’edificio dagli agenti atmosferici e chiunque ne sia coperto a qualsiasi livello sottostante (cantine, box) deve concorrere alla sua manutenzione. Vale in ogni caso quanto disposto dall’art. 1123 cc comma 3, ovvero:

“Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell’intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità.”

La ripartizione della spesa avverrà quindi utilizzando la tabella di proprietà con l’esclusione di coloro che rientrano nel disposto del comma appena riportato.

Per quanto riguarda i lastrici solari occorre fare una distinzione. Se la copertura, che ha differenza del tetto a falde è orizzontale e opzionalmente calpestabile, è condominiale, la spesa deve essere ripartita come per il tetto tra tutti i condòmini.

Se invece il lastrico solare o il terrazzo a livello è ad uso esclusivo, interviene l’art. 1126 cc che recita:

“Quando l’uso dei lastrici solari o di una parte di essi non è comune a tutti i condomini, quelli che ne hanno l’uso esclusivo sono tenuti a contribuire per un terzo nella spesa delle riparazioni o ricostruzioni del lastrico: gli altri due terzi sono a carico di tutti i condomini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno.”

La ripartizione della spesa rientrante nei 2/3 dovrà quindi coinvolgere tutte le unità immobiliari sottostanti, coperte anche solo parzialmente dal lastrico, fino al livello più basso (cantine e box) escludendo naturalmente le parti comuni (androne, corselli, rampe, ecc). La tabella utilizzata dovrà essere quella di proprietà.

Potere di spesa dell’amministratore

Contrariamente a quanto si pensa, l’amministratore non ha potere di spesa se non per quanto è stato deliberato dall’assemblea dei condòmini. L’unica eccezione è costituita dalle spese “urgenti” indicate nel secondo comma dell’art. 1135 cc:

L’amministratore non può ordinare lavori di manutenzione straordinaria, salvo che rivestano carattere urgente, ma in questo caso deve riferirne nella prima assemblea

Il testo della norma non fa riferimento alle spese ordinare che devono necessariamente passare al vaglio preventivo dell’assemblea, ma solo a quelle straordinarie urgenti. Ma cosa si intende per spese straordinarie urgenti?

Si tratta in sostanza delle spese necessarie per interventi compiuti in modo da evitare ulteriori danni a cose o, peggio, a persone. Del resto sull’amministratore grava costantemente il peso di quanto disposto dal secondo comma dell’art. 40 cp:

non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo

Un cornicione pericolante, una condotta d’acqua che improvvisamente si rompe, un parapetto di un terrazzo condominiale di altezza inferiore al minimo di legge, una pericolosa sconnessione della pavimentazione di un vialetto pedonale … sono solo alcuni  esempi per i quali è necessario intervenire tempestivamente e per i quali i tempi di convocazione assembleare potrebbero costituire una variabile troppo estesa per garantire l’incolumità altrui.

In questi casi l’intervento dell’amministratore è indispensabile, perchè il suo mandato lo investe della piena responsabilità di custodia delle parti comuni. Ma fino a dove può spingersi il suo margine di manovra? La risposta più corretta è: al minimo indispensabile per ottemperare ai suoi obblighi … nulla di più.

Tornando agli esempi precedenti basterebbe la spicconatura del cornicione, oppure un’imbragatura che impedisca la caduta rovinosa dei pezzi d’intonaco; limitarsi a riparare provvisoriamente il tubo per evitare ulteriori danni alle unità immobiliari e alle parti comuni; inibire l’ingresso di chiunque al terrazzo, chiudendo a chiave la porta di accesso e apponendo un cartello di pericolo; transennare la zona interessata dalla sconnessione impedendo che chiunque possa farsi del male cadendo.

Ogni altra opera di rimessa in pristino deve essere adeguatamente preventivata e deliberata in assemblea, l’unico organo titolato a decidere sulla questione.

Interventi in generale

Si è detto più volte che i condòmini sono chiamati a sostenere le spese di conservazione di tutte le parti comuni e che l’amministratore debba compiere i relativi atti conservativi, necessari a garantirne il pieno godimento. Ma cosa vuol dire conservazione?

Conservazione significa mantenimento delle condizioni originarie che consentano il normale uso per cui il bene è stato costruito e destinato. La manutenzione conservativa si distingue in manutenzione ordinaria e straordinaria.

Manutenzione ordinaria

Rientrano nella manutenzione ordinaria tutti gli interventi preventivi necessari al mantenimento del bene nello stato d’uso, tranne il normale logorio che ne provoca un naturale invecchiamento nel tempo, e che coinvolgano le rifiniture ma non le parti strutturali. Rientrano in questa tipologia di interventi:

  • La sola tinteggiatura di una scala o di una facciata di un edificio;
  • La pulizia delle celle solari o fotovoltaiche degli impianti di produzione energia;
  • La sostituzione delle funi logorate di un ascensore, o la sostituzione dell’olio del motore idraulico;
  • La pulizia preventiva di un impianto fognario;
  • La pulizia delle scale;
  • L’opera di sfalcio di un giardino condominiale;
  • La potatura delle piante;

Si tratta quasi sempre di spese prevedibili e pertanto inserite dall’amministratore all’interno del preventivo di spesa da approvare in sede assembleare. Ciò significa che eventuali costi aggiuntivi sono da attribuire a spese impreviste, ancorché ordinarie, o ad una errata valutazione dell’amministratore.

Manutenzione straordinaria

A differenza della manutenzione ordinaria, quella straordinaria consiste in interventi più profondi e strutturali che comunque tendano a riportare il bene allo stato originale d’uso, sostituendo parti che non ne modifichino in ogni caso il volume. Rientrano in questa tipologia di interventi:

  • Il rifacimento delle facciate di un fabbricato;
  • La sostituzione di una ringhiera o dei gradini di una scala;
  • La sostituzione dell’intera cabina di un ascensore;
  • La sostituzione di un tratto della tubazione di una condotta;
  • L’abbattimento di un albero pericoloso o malato;
  • La sostituzione di una centrale termica anche con alimentazione differente;

Si tratta quasi sempre di spese non previste che necessitano di un’approvazione specifica e la costituzione di un fondo di pari importo, alimentato eventualmente per stato di avanzamento lavori. Nel caso in cui si tratti di spese di importo esiguo, come per esempio la sostituzione di una serratura del portone di ingresso, al fabbricato, la delibera assembleare è valida con le maggioranze previste per le decisioni ordinarie di prima e seconda convocazione.

Obbligo di spesa

Le spese di conservazione diventano obbligatorie nel momento in cui si rendono necessarie, e diventano immediatamente esigibili quando vengono approvate dall’assemblea con la relativa ripartizione, anche per i dissenzienti.

Il continuo rifiuto di approvazione delle spese non giova ai condòmini, che in questo modo si rendono direttamente responsabili per gli eventuali danni causati dalla mancata manutenzione.

Spese urgenti

Uno degli obblighi dell’amministratore consiste nel compiere gli atti conservativi sulle parti comuni. E’ chiaro però che in mancanza dei mezzi necessari non è possibile garantirlo, ma in ogni caso deve, in quanto custode del bene comune, evitare che la mancanza di manutenzione possa costituire un pericolo per l’incolumità pubblica. Nell’eventualità, per esempio, che vi sia la possibilità di un distaccamento dei frontalini dei balconi di un fabbricato, senza alcuna autorizzazione né pregiudizio, l’amministratore deve intervenire per eliminare la condizione di pericolo, transennando la zona o facendo spicconare i pezzi pericolanti. L’assemblea, successivamente, non potrà fare altro che ratificare la spesa, ponendo eventualmente l’attenzione sulla necessità di procedere finalmente al rifacimento della facciata.

Nel caso appena descritto se l’amministratore non avesse a disposizione neanche i mezzi per realizzare l’intervento, non potrebbe fare altro che rivolgersi alle autorità di pubblica sicurezza, che finirebbero per imporre coattivamente l’intervento, spostando qualsiasi responsabilità dall’amministratore al condominio intero, o comunque nei confronti di coloro che in assemblea abbiano tenuto ripetutamente comportamenti ostruzionistici.