Ogni condòmino è titolare di un vero e proprio diritto reale sulle parti comuni, condiviso con tutti gli altri condòmini. In virtù di questa comproprietà, la legge gli consente di utilizzare il bene comune traendone la maggior utilità possibile finanche a goderne in misura più intensa rispetto agli altri condòmini. Per farlo può anche apportare le necessarie modifiche, a proprie spese, purché rispetti le seguenti condizioni:
- Non ne alteri la destinazione d’uso principale;
- Non impedisca agli altri condòmini di farne pari uso;
- Non pregiudichi la stabilità e la sicurezza dell’edificio;
- Non ne alteri il decoro architettonico;
- Non sia vietato da una norma contrattuale del regolamento condominiale.
La legge non prescrive alcuna autorizzazione da parte dell’assemblea, ma solo l’obbligo di darne comunicazione all’amministratore, che è tenuto ad informare i condòmini alla prima occasione.
Buona parte delle discussioni tra condòmini scaturisce proprio dall’interpretazione di questo poche righe. L’iniziativa di qualcuno viene spesso scambiata per prevaricazione, un vero e proprio tentativo di “sottrarre” qualcosa che appartiene a tutti, una prepotenza bella e buona. Si tratta di un confine molto sottile che può essere valicato senza rendersene conto e che pertanto va analizzato con molta attenzione.
Per evitare contrasti insanabili che possano innescare una spiacevole escalation di dispetti, il consiglio che ci sentiamo di dare è quello di parlarne sempre con il proprio amministratore, anticipandogli le intenzioni e studiando con lui la soluzione più idonea. L’amministratore è un consulente preparato, in grado di fornire il miglior supporto possibile e che, in caso di necessità, può ottenere un consiglio legale risolutivo.
Per chiarire meglio quanto sia labile il limite tra il corretto godimento del bene comune, sebbene più intenso rispetto agli altri condòmini, ed un’azione di sottrazione del bene al fine di attrarlo nella propria sfera di influenza, è utile fare qualche esempio.